L’illustrazione Italiana – 24 Gennaio 1915

L’illustrazione Italiana – 24 Gennaio 1915

Illustrazione-1

 

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Dolori, lacrime, lutti…. senza guerra. Cioè — senza guerra?.., Ma quale più terribile guerra che quella di un nemico che non si può né prevedere, né prevenire, né affrontare, né colpire, e che irrompe con improvvisa violenza, e distrugge, abbatte, uccide con tanta fulminea crudeltà irresistibile?…

Quali colpe ha l’Italia da espiare, per meritarsi questo nuovo, imprevedibile flagello, che ha desolate tanto ridenti, tanto fiorenti contrade, e nella incontrastata battaglia di un minuto ha fatte più vittime e più infelici che un mese, che due mesi di inutile guerra barbarica ?…

Avezzano!… Settanta anni addietro, le descrizioni geografiche lo chiamavano un borgo. Trenta anni più tardi, il compimento — dovuto al magnifico principe don Alessandro Torlonia — di quell’opera grandiosa che fu il definitivo prosciugamento del lago Fucino, fece di quel “borgo” una città sempre più bella, sempre più fiorente, che il terribile terremoto del 13 gennaio ha ridotta un desolante cimitero!…

Narrano la tradizione e la storia che al grande emissario scaricatore del lago, iniziato da Cesare, furono adibiti da Claudio trentamila uomini per il seguito di undici anni. E in meno di un minuto la violenza tellurica, che nessun genio umano riuscirà mai ad incatenare, attorno alla conca, oggi verdeggiante e ridente, dell’antichissimo lago, ha uccise trentamila innocenti creature.

Quale terribile strage, quali strazianti rovine di vite, di cose, di energie!…

Da Avezzano, a Sora, a Celano, ad Isola del Liri, a Veroli è tutta una successione di terre popolate da gente buona, forte, geniale, laboriosa, industriosa: la terra dei Marsi, che vide in Alba Fucens i re prigionieri di guerra confinati là dai romani — Siface re di Numidia, Perseo re di Macedonia col suo figliuolo Alessandro, e Bituito re degli Alverni — la Terra dei Marsi è una delle più fertili, più deliziose di tutto l’Abruzzo. I terremoti l’hanno percossa nei secoli — come hanno percossa tutta l’Italia meridionale — ma in nessun tempo mai cosi terribilmente fu colpita, come ora.

Non è possibile ancora una valutazione positiva delle vittime; poi, costringendo il cuore a non gemere, gli occhi a non piangere, la mente smarrita a ragionare; imponendo a noi stessi per i morti innumerevoli la commiserazione che si rassegna, rimane il terribile disastro di città completamente e visibilmente distrutte, come Avezzano, o di città apparentemente in piedi conte Sora, i muri esteriori delle cui case, dalle persiane chiuse — chè non erano ancora le 8 del mattino quando avvenne il disastro — dissimulano la vita, mentre dentro ogni casa, tra i piani sfondati, gli appartamenti sprofondati, travolti, inabissati, è la morte e la distruzione!… In ogni casa è un piccolo cimitero impenetrabile. La sola chiesa di Sora ha dentro sè cento vittime, che l’ora mattutina aveva ingenuamente spinte alla gioia dolce licita prima preghiera propiziatrice!… E come di Sora, è di Avezzano, dove la morte non ha avute predilezioni ed ha travolti insieme, con tutti i funzionari della sottoprefettura e coi carabinieri, i carcerati criminali. Una città maledetta, destinata da Dio alla distruzione totale, come narra la Bibbia che fossero Sodoma e Gomorra sul triste lago di Asfaltide, non avrebbe potuto finire di versamente dal come ha finito Avezzano innocente e buona sulla conca ridente del prosciugato lago di Fucino!… Cosa avevano mai fatto i bambini di Avezzano riuniti, già a quell’ora, nella scuola, rovinata seppellendoli, e la ricerca dei cui piccoli cadaveri è una delle ardue fatiche dei generosi soccorritori ?…

Perchè, in verità, alla fulminea grande sciagura ha risposto immediato l’immancabile slancio italiano, dall’umanissimo Re al nobile Pontefice, dalle Banche poderose ai più modesti cittadini, dall’esercito sempre in prima linea alle istituzioni filantropiche, dai pompieri dei più lontani Municipii alle squadre multicolori di ogni Puhblica Assistenza; e uomini, e suore, e deputati, e pubblicisti, e ministri accompagnanti la sollecitudine del Sovrano, tutti i rappresentanti di ogni più eletta energia morale e fisica sono accorsi per rendere, fin dove fosse possibile, meno crudele la sciagura, meno tragica In rovina, meno infelici gl’infelicissimi superstiti!..

Illustrazione-10Non marcano, tuttavia, in quest’ora di così pungente dolore, gli uomini meschini, tormentati sempre dalla loro egoistica animosità partigiana. «Il governo non ha fatto — il governo non ha pensato — il governo non ha provveduto!.. » O come è facile, a parecchie centinaia di chilometri dal centro politico ed amministrativo dove si accentrano e si accavallano tutte le ripercussioni di una sciagura consimile, sentenziare, criticare! Chi può prevederlo il terremoto?… Chi può percorrere immediatamente una zona colpita così spaventevolmente dove il diametro del circuito disastroso non è certamente inferiore ai centocinquanta chilometri?… Chi può arrivare da per tutto simultaneamente in una regione caratteristicamente montuosa, dove la distruzione, la morte sono apparse fulmineamente, nel medesimo attimo, colpendo, uccidendo, seppellendo denzapredilezioni o con una sola predilezione — distruggere inesorabilmente ?…

Coloro che oggi sono facilmente tanto prodighi di censure e di recriminazioni, quando Reggio e Messina furono alla loro volta desolate, sei anni sono, cosa risposero a coloro che ventavano uguali rimproveri contro il nume di allora, Giolitti?.. Non vi sono, né mentalità d’uomo, nè preveggenza di governo che possano opporre l’immediata assistenza di fronte agli assalti terribili dell’imprevedibile ed irreparabile. Questa delle violenze telluriche è una guerra di fronte alla quale non sono né possibili, né sufficienti la lenta preparazione, la calcolata mobilitazione, le preordinate formazioni.

Quando, in meno di un minuto, cadono gli apparecchi telegrafici e telefonici, crollano le stazioni ferroviarie, precipitano i viadotti e i ponti, sobbalzano e si spaccano le strade carrozzabili: quando vengono sepolti i funzionari, gli agenti, i soldati che nei luoghi colpiti rappresentano le prime garanzie dell’organizzazione sociale; quando in un ampio territorio sul quale ferve la vita, mezzo milione almeno di abitanti sono fatti piroettare con le loro case su se stessi, come è capitato nel centro di Roma alla statua dell’apostolo Pietro sul pinnacolo della Colonna Antonina — non v’ha genio governante che possa apparire immediatamente adeguato al compito, né vi ha prosopopea di censore che possa pretendere di giudicare!…

Anche questa, e specialmente questa, è ora di solidarietà, di concordia, non di critiche partigiane – miranti, forse, ben al di là delle vittime da soccorrere e dalle regioni devastate da far rivivere. Col Re, esempio di ogni sollecitudine, tutti, dal primo ministro Salandra, al ministro dei lavori pubblici, Ciuffelli, al suo sottosegretario, Visocchi, che è nativo dei luoghi colpiti — tutti hanno fatto, non possono non aver fatto il loro dovere, anche quei soliti sei o sette deputati che sono dappertutto, che vanno dappertutto, che si sbracciano dappertutto, che fanno passare, in ogni luogo, in ogni occasione, tra i patrii confini e fuori, in seconda linea la famosa “presenza di Dio” e che il primo ministro Calandra ha avuto ieri l’altro a Roma il torto di non ricevere immediatamente, come le loro onorevoli signorie pretendevano, e li ha fatti ricevere, pel momento, dal suo capo di gabinetto — apriti Cielo!.., — mentre egli, il primo ministro, era in ben più gravi doveri assorto, fra altri uomini polìtici e funzionari che riferivangli ed ascoltavano per provvedimenti altrettanto urgenti ed invocati!..

Nessuno nega che quegli onorevoli, universali soccorritori, abbiano fatto bene a prestare solleciti l’opera loro; ma è onesto pretendere che Salandra, non potendo riceverli sul tamburo, abbia voluto mancare di riguardo a loro e al Parlamento?!…

E’ drammaticamente singolare — se si pensi — il fato di questo primo ministro Salandra, la cui presenza alla testa del governo non ha ancora compiuto l’anno, e si è visto rovesciare addosso, di giorno in giorno, quanto di più grave nell’evolversi di un lungo periodo può mai capitare a chi governi: sciopero generale tumultuario — una rivoluzione “rossa” in mezza Italia — sciopero ferroviario — guerra europea — lotta diplomatica e politica per la neutralità provvidenziale — rifacimento urgentissimo della difesa nazionale — necessità di affermarsi in Albania — ed ora la spaventevole sciagura dell’Abruzzo, del Lazio e della Campania!…

L’uomo — comunque egli si chiami, da qualunque punto cardinale della rosa politica dei venti egli provenga —l’uomo che fa fronte con serenità, con fermezza, con tutta la sollecitudine compatibile coll’inverosimiglianza delle circostanze incalzantisi — a tanto succedersi di difficoltà e di problemi, merita di essere incoraggiato, sorretto, non ostacolato, tanto meno poi in nome di quelle pettegole e fastidiose convenienze parlamentari verso le quali lo spirito sano del paese non può avere nè propensioni nè riguardi.

L’Italia attraversava già un periodo di gravi responsabilità e di alti doveri — ora si sono aggiunte dolorose urgenze, alle quali il paese corrisponde con un sentimento di così generosa e illuminala carità, che lo rivela, ancora una volta, di gran lunga migliore di certi romorosi volgarizzatori della politica spicciola. L’ Italia, in mezzo alle angoscie di questo nuovo, grande, immeritato dolore mostra a tutti, specie a certi amici troppo smaniosi di profferirsi, la bella energia nelle sue risorse e delle sue iniziative, la volontà ferma di bastare a sè stessa — e ben l’hanno compreso prontamente Salandra e Sonnino, che con cortesia pari alla dignità, hanno declinate tutte le amabili offerte straniere, in un’ora in cui non sarebbe certo nè delicato, nè opportuno accettare da altri il compimento di sacrifici.

L’Italia è in buone mani: non pare questivl’ora di riaprire il periodo, che fu già lungo, delle piccole macchinazioni e delle molte incertezze. Ha ben detto Salandra a quei deputati poi ricevuti: la “diligenza” del potere non teme assalti; è protetta, è blindata!…

I pratici dei profondi misteri tellurici, vanno profetizzando che la faccia della terra va cambiando, attraverso periodiche scosse, e che questa che noi fin da fanciulli crediamo una palla, va assumendo la forma di una trottola, o, meglio, di una piramide triangolare, schiacciata al polo nord, accuminata al polo sud, e piegata su tre coste nella sua lunghezza. E questo lento graduale lavoro secolare di piegatura che determina, dentro le viscere, spostamenti e successioni di assestamenti, che producono le spaventevoli catastrofi che dianzi chiamavamo di Reggio e di Messina, ed ora chiamiamo di Avezzano, di Pescina, di Sora. Se l’Italia, questa magnifica penisola, posta, dalle Alpi nevose alla estrema Sila e alle più lontane Madonie, su una irta stratificazione geologica immutabilmente vulcanica, è destinata a provare, coi lunghi benefìcii delle sue origini, anche le tragiche conseguenze ricorrenti, ragione di più perché ci educhiamo tutti alla scuola del pericolo e del dolore, creando anche, per l’eventualità dei pericoli più remoti ed oscuri, e non meno probabili, la medesima resistenza morale, la stessa organizzazione di energie, che andiamo dicendo di volere opporre alle minaccie degli uomini, più facilmente prevedibili.

Sulla grande scena, spaventevole essa pure, ed oramai quasi immutabile, della guerra, è avvenuto, negli aspetti politici, un cambia­mento di persona, che ha suscitati generali commenti. Il conte di Berchtold, il ministro per gli affari esteri dell’impero austro-unga­rico, il cui nome è associato, nella storia, al brutale ultimatum intimato sul finire di luglio alla Serbia, ed alle dichiarazioni di guerra onde furono poi lanciati gli uni contro gli altri gli eserciti austro-ungarici e gli eserciti serbi e russi e montenegrini, e le navi fran­cesi e britanniche contro le austriache — il conte di Berchtold ha ottenute — dice il re­scritto imperiale — le dimissioni ripetuta- mente domandate, ed è stato sostituito da un altro ungherese, il barone Stefano Burian. Tale mutamento di personaggio, in così alto posto, e così determinativo, ha suscitato uni­versali commenti interminabili.

Il conte di Berchtold, si dice, era stanco, molto stanco. Egli non era stato veramente fortunato succedendo al barone di Aehrenthal dopo la famosa annessione della Bosnia e del- l’Erzegovina. L’Austria-Ungheria non aveva visto riuscire nessuno dei suoi progetti cal­deggiati: la guerra balcanica le aveva pro­curate amare disillusioni : altre amare disil­lusioni la questione albanese: codeste ama­rezze, adriatiche e non adriatiche. avevano culminato nella tragedia di Scrajevo e nella guerra di castigo e di vendetta mutatasi — è oramai evidente — pel secolare impero de­gli Absburgo in un giuoco pericoloso.

Reggere ad una situazione simile non è, non può essere di tutti i temperamenti. Il conte Berchtold è , prima di tutto, un gran signore, un milionario «magnate» ungherese: entrò nella politica seguendo nobili tradizioni, che possono determinare una carriera , ma non mutare nè creare un temperamento. L’ora che volge è diffìcile per 1′ Austria-Ungheria : è difficile, se si deve continuare l’aspra guer­ra, mentre i russi minacciano gli sbocchi dei Carpazi e le vie della Bucovina ed i serbi hanno distrutta , almeno per ora , ogni spe­ranza austro-ungarica di ridurli in umiltà ; è diffìcile, se si debba cominciare a trattar di una pace, la cui conclusione sarà ben più ar­dua del proseguimento delle operazioni stra­tegiche. Dunque — ha detto il conte di Berch­told, pare, — ci vuole un’ energia nuova — ed ha ottenuto di ritornare alle sue predile­zioni, i suoi grandi possedimenti, i suoi alle­vamenti di cavalli . le sue magnifiche colle­zioni artistiche, la musica.

La nuova energia è stata trovata — e già ne ho detto il nome: il barone Stefano Bu- rian de Rajécz. Egli faceva già parte del Mi­nistero ungherese presieduto dal conte Tisza, fu ministro per le finanze imperiali, e per ciò ministro di Bosnia ed Erzegovina, e, prima ancora, ministro plenipotenziario in Atene. Nel gabinetto ungherese ha figurato sin qui come ministro a Intere: come Xalter-ego di Tisza: e come alter-ego di lui, dicono, terrà il Ministero della casa imperiale e degli affari esteri austro-ungarici. Il suo avvento segna l’accrescimento dell’inlluenza ungherese nella duplice Monarchia. Ed allora, perchè non no­minare il conte Tisza addirittura? — No, il conte Tisza, l’autore vero — dicono — della nota di ultimatum alla Serbia, il propulsore della guerra, sta bene dove sta, alla presidenza del Ministero ungherese: di là egli influisce su tutta la politica dell’impero: egli ha l’af­fiatamento col Kaiser tedesco e con la can­celleria germanica. Burian, che è veramente cresciuto nella politica militante, e che ha nel sangue — assai più che non il conte Berchtold — la passione della politica, farà bene, ma lavorerà in continuo contatto con Tisza, e sarà l’interprete dell’anima di lui consonante con la sua.

E cosa vogliono queste due anime di « ma­gnati » ungheresi?… La guerra ancora, pare, la guerra tenacemente contro la Russia, il gran nemico; e la preparazione all’Austria- Ungheria di nuove amicizie e di nuove al­leanze!… Dove?… Quali?… Dell’Italia, nev- vero. non c’è gran che da fidarsi ?… Ma dove tro­veranno alleanze, che possano essere senza corrispettivo di legittime soddisfazioni e di na­turali pretese?… Sono tutte incognite; come pare sia un’incognita il movente della visita ufficiale a Roma dell’ ex-ministro bulgaro Ghenadieff, il quale della sua missione non fa mistero, pur tacendone coi giornalisti il vero scopo. Si procede dunque per induzioni: 1’Italia dovrebbe aiutare la Bulgaria ad otte­nere. a momento opportuno, la revisione di quel trattato di pace di Bucarest dell’altro anno, pel quale la Bulgaria, dopo l’aspra guerra coi suoi già alleati, perdette a bene­ficio della Serbia e della Grecia l’ambita e dianzi quasi interamente conquistata Macedo­nia. Il compito non pare facile, a tutta prima. Però, se l’Italia volesse, se l’Italia si decides­se, se l’Italia, grande potenza, agevolasse la formazione ancora della gran Lega Balcanica — Rumenia. Bulgaria, Grecia, Serbia e Mon­tenegro — o quale avvenire di concordia e di pacifico assestamento nei Balcani!…!

Il cielo europeo è fosco, senza dùbbio, molto fosco ancora : ma non mancano ba­gliori di luce tra le nubi, come non mancano illusioni nei cervelli! Vi sono illusioni che sorgono da generose, legittime speranze, e che meritano l’augurio dell’esaudimento!

 Il terribile disastro tellurico del 13 gennaio negli Abruzzi e nella Valle del Liri. – 30 000 vittime!!

Il terremoto spaventevole che la mattina del mer­coledì 13 gennaio ha scossa Roma e sconvolte tre fiorenti regioni dell’Italia centrale e meridionale — non uguaglia, per fortuna, nei suoi terribili effetti quello memorabile del 28 dicembre 1908 che di­strusse Messina e Reggio di Calabria, ma non è stato meno violento, nè meno desolante per le lo­calità colpite, nè meno doloroso per tutta Italia. Se Avezzano, Pescina, Sora, Isola del Liri, Veroli ed altri minori comuni, se le disgraziate regioni col­pite. avessero avuto cosi grandi agglomerazioni di popolazione come già Reggio e Messina, la cata­strofe sarebbe stata nei suoi effetti tragici identica — la diversa densità di popolazione ncH’ahitato valse a ridurre le vittime a circa trentamila, cifra anche questa ben lacrimevole!…

Alle ore 8 meno 6 minuti, ossia alle 7.34 precise del mercoledì mattina t3, Roma fu violentemente agitata in senso ondulatorio da una lunga scossa di terremoto durata dai 20 ai 3o secondi. I.a scossa fu sensibile al punto che nelle strade molti Irams elettrici l’avvertirono e si fermarono, ed i passeg­geri ne scesero spaventati.

Da ogni parte fu un fuggi fuggi generale per le piazze, per le strade, fuori delle case, special- mente in Trastevere, alla Regola, a San Pietro, alla Chiesa Nuova, a San l-orcnzo, ma in realtà gravi conseguenze a Roma non si ebbero, all’in­fuori di lesioni ad una cinquantina dei principali palazzi, rovesciamento di qualche statua a San Cio- vanni in l-aterano, a San Paolo fuori le mura, frantumazione copiosa di vetri a San Pietro fino sul lanternino della cupola michelangiolesca ; la ro­vina di un alto fumaiuolo sulla cupola dell’aula di Montecitorio: la caduta dei candelabri di cristallo nella sala Consigliare Capitolina, lo spostamento della statua e di alcuni segmenti della Colonna Antonina : ma. in complesso, nulla di veramente grave, nè disgrazie per la vita delle persone.

Lo spavento rapidamente estesosi vcnivnsi cal­mando. quando verso le 2 del pomeriggio per la Capitale corsero notizie più gravi, impressionanti, dolorose, che il telegrafo ed il telefono — dove non erano stati interrotti — ed i treni ferroviari, superati i lunghi, inesplicabili ritardi, recavano dalle regioni circostanti, dal Lazio, dagli Abruzzi, dalla Campania.

Avezzano, bella, ridente, antica e fiorente città, in provincia d’Aquila, a circa (i5o metri sul livello del mare, alle falde del Monte Velino c prospiciente sulla conca ora ubertosissima, dove adagiatasi il lago di Fucino, prosciugato dal principe Alessandro Torlonia. era stata effettivamente, terribilmente rasa al suolo in meno di un minuto!… Dei suoi circa 93oo abitanti, due migliaia, a far molto, la maggior parte di questi feriti, trovavansi fuori delle rovine. Il rimanente erano sepolti, e la maggior parte cadaveri!… In tutto il Comune si calcolano un dieci­mila morti!…          ..

Il violento fenomeno tellurico deve aver avuto il suo centro nelle viscere terrestri al disotto delle mil­lenarie fenditure a traverso le quali i romani aprirono il vetusto canale scaricatore del fucino, giacche l’opera disastrosa del terremoto si è portata con­temporaneamente, nella sua violenza ondulatoria da sud-est a nord-ovest, sopra Sora, centro popolato da circa 10000 abitanti, anche questo spaventevol- mente devastato.

Di questa stagione le ore 7,56 del mattino segnano all’incirca l’ora in cui la gente riprende nelle città le sue occupazioni. La maggior parte dunque venne sorpresa dal flagello nelle proprie case. Ad Avez- zano dove le case — dicono i corrispondenti — sono rovinate letteralmente tutte, nessuna famiglia e sfug­gita al disastro. Fra i 10 000 morti calcolati, nove- ransi il sottoprefetto De Terzis e sua moglie e tutti gl’impiegati della sotto-prefettura, il capitano dei ca­rabinieri, cav. Natale Perelli, milanese, la cui signora si è salvata; morti undici carabinieri, e tre soli sal­vati; e 25 soldati uccisi dell’unica compagnia (circa Go uomini) del |3.” fanteria ivi di presidio…. La sta­zione ferroviaria crollata, ed uccisa la moglie del capo stazione. Nel carcere su 29 carcerati, 10 sono morti, tre fuggiti; gli altri feriti sono stati trasportati a Roma, nei cui ospedali i treni potutis1 suc­cessivamente formare hanno trasportati feriti a cen­tinaia da Avezzano, da Sora, da Pescina, da Tagliacozzo, da Magliano, da Castell’Alfiume, da Isola del Liri, da Torre Cajetani, da Tivoli, da Veroli, a Monterotondo.

Pescina con circa 10400 abitanti, conta, pare, no meno di 5000 morti, a cominciare dal sindaco Jsclocchi e suo figlio. La strada provinciale attorno a Pescina fu vista ballare come una striscia di tela, e qua c là screpolarsi, e vi sono ora fenditure cne ne impediscono il transito ai veicoli.

Anche Sora con 17000 abitanti è totalmente di­strutta, ma la popolazione per la maggior parte e salva: con tutto ciò le vittime ascendono a circa 3000! Il Re che ha ripetutamente visitato i luoghi desolati, avebbe detto, pare, che Io spettacolo di Sora è più desolante di quello di Messina! Prova­tissimo è stato il comune di Celano, dove i morti pare ascendano a 4000: fra i morti, sotto le rovine della sua villa, fu trovato l’ex deputato avv. Giovanni Cerri c la sua signora. Il Cerri rappresentò Avez- zano alla Camera dal 1900 al 1904.

Se si calcoli che il terremoto, avendo per centro l’antico letto del lago di Fucino, ha sviluppata la sua violenza massima in un raggio di circa cento chi­lometri almeno, colpendo, specialmente sul versante mediterraneo deU’Apennino, grossi centri abitati — oltre ad Avezzano, Sora, Pescina — come Carsoli, Tagliacozzo, Cappadocia, Magliano, Villalgo, Ce­lano, Civitellarovelo. Scanno, Balsorano, Isola del Liri, Arpino, Subiaco, Genazzano, Paliano. Sgurgola, Prosinone, Arce, Roccasecca, Cassino, Pipemo, Fon­di, Veroli, si capisce che le vittime possano avvi­cinarsi alle 30 000 su una popolazione di almeno 500 000!…

Il Re, che a Villa Ada. fuori porta Pia, era già alzato da oltre un’ora e nel proprio studio, balzò alla scossa e corse nelle stanze della Regina, ancora in riguardo per il puerperio, e presso la quale vennero subito i principini. Re Vittorio si mise in immediata comunicazione con le autorità, e nel pomeriggio partì con treno speciale per Avezzano dove si trattenne per cinque ore fra le rosane in mezzo alle vittime attorniato dai desolati superstiti: sul suo stesso treno furono portati a Roma nume­rosi feriti, alcuni dei quali spirarono lungo il tragitto.

Illustrazione-9Gli ospedali della capitale furono tutti aperti ai feriti, compreso quello del Lazzaretto pontificio di Santa Marta, alla destra della basilica di San Pietro; e quivi nella giornata del 14 si recò papa Bene­detto XV a visitare e confortare i feriti, uscendo dalla porta della sacristia. attraversando il secondo cavalcavia che sorpassa la strada carrozzabile detta delle Fondamenta. Benedetto XV si trattenne pieto­samente fra i feriti un’ora e mezza: vi tornò anche nei giorni successivi, alcuni moribondi confortando e benedicendo e ad alcuni amministrando la comu­nione. La pietà esemplare del Pontefice fu special- mente segnalata dal sindaco di Roma, principe Co­lonna, nel consiglio comunale.

Giornalmente il Re. la Regina Madre, la Du­chessa Elena d’Aosta visitano i feriti negli altri grandi ospedali di Roma.

È soverchio parlare di organizzazioni di soccorsi: l’improvviso disastro ha addolorato profondamente tutta Italia, ma da ogni parte sono sorte immedia­tamente pronte, generose iniziative, a dimostrare che la carità nazionale è sollecita e inesauribile; ed il governo ha interpretato benissimo il sentimento pubblico declinando ogni generosa offerta venuta dall’estero.

Il governo ha decretati provvedimenti eccezionali per le regioni colpite, nominando regio commissa­rio straordinario il comm. Secondo Dezza, ispettore centrale al ministero per gl’interni. Sono accorsi sui luoghi desolati il ministro dei Lavori pubblici, Ciuffelli. il sottosegretario di Stato, Visocchi — che è deputato di Cassino — altri deputati, funzionari, truppe di varie armi : ma, purtroppo, il disastro ha avuto notevole estensione, e i mezzi di soccorso, per quanto solleciti, hanno avuto di fronte difficoltà superiori, al primo momento, ad ogni miglior buon volere.

Durante tutta la giornata del 14 gennaio gli Osser­vatori geodinamici continuarono a segnalare scosse : nelle 24 ore susseguenti alla scossa devastatrice, ben 98 ne furono segnalate, che poi durante il gio­vedì sorpassarono di parecchio il centinaio; ed al­tre si sono ripetute il l5 ed altre ancora, ma di non grave entità, nei giorni successivi, ed il feno­meno, sempre terrificante, continua con scosse ora­mai innumerevoli.

Lo Stato ha messo immediatamente a disposi­zione dei Comuni colpiti un milione per i bisogni più urgenti ; il Re ha erogate specialmente trecento- mila lire per gli orfani abbandonati: in ogni parte d Italia la carità pubblica offre lo spettacolo com­movente di una gara esemplare.

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